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Una volta tolto il camice, restano le montagne

… e la voglia di avventura: dopotutto è questo il motivo per cui indosso il mio camice.

Ogni tanto capita di dimenticare chi siamo, travolti dal mare impetuoso degli impegni, delle responsabilità, degli sguardi fugaci in corsia. La grafia pasticciata, a tratti nervosa, tradisce un flusso di pensieri che, dalla pagina del diario clinico, ha già passato in rassegna i pazienti a noi affidati, pianificando la loro cura con dovizia ed un pizzico di preoccupazione.

Presto la preoccupazione diventa attenzione di una mente allerta, in attesa di scoprire quale sarà il prossimo caso da affrontare e, così, la prossima persona da aiutare. Dietro ad un cellulare che squilla, un campanello che suona in corsia, il telefono di guardia minaccioso e solitario sul tavolo o la chiamata dell’infermiere, prezioso compagno di viaggio, si celano innumerevoli scenari diversi: incognite che dovranno essere fronteggiate con un arsenale limitato di armi, il bagaglio della nostra esperienza, un pizzico di paura, ardimento quanto basta ma soprattutto vivace curiosità.

E’ proprio questa curiosità che, nelle parole, nei gesti e negli sguardi dei nostri pazienti, ci fa vivere ogni giorno storie diverse e ci permette di guardare alla vita con occhi sempre nuovi, scostando il velo dell’apparenza e deponendo l’armatura del nostro ego. Dietro gli occhi di un paziente c’è un dramma: quel dramma è ricco di emozioni e queste raccontano una storia che merita di essere vissuta, lasciandoci trasportare per il mondo dalle sue stesse gambe.

Ricordo ancora quando decisi di intraprendere gli studi classici, affascinato dalla storia e dalle culture antiche, per dedicarmi all’archeologia. Questa era per me sinonimo di terre lontane, avvolte nel tempo, ricche di storie da scoprire, affidate alla memoria di luoghi ancora inesplorati. Questa tensione alla scoperta, il fascino dell’ignoto ed il moto interiore della sfida sin da piccolo hanno sempre trovato nella montagna il fondale per mettere in scena il grande dramma dell’avventura: il teatro dell’improvvisazione, dove più è bravo chi più si diverte.

Piste e sentieri, bussola e mappa, l’arsura delle praterie estive, il sole riflesso sulla roccia verticale, il vento che taglia le guance e congela le ossa, lo sguardo che si perde lontano alla ricerca della via, l’ultimo sorso di acqua a metà del cammino, la cornice di neve che cede sotto lo sci, la corda legata in vita compagna fedele di mille avventure, lo zaino strappato ed i ramponi che mordono il ghiaccio hanno scandito come le lancette di un orologio gli anni passati a vivere l’avventura, in attesa di ciò che sarebbe venuto e che avrebbe voluto essere raccontato.

Ma l’archeologia, affascinante disciplina che ancora stuzzica la mia fantasia, pur placando la tensione della scoperta e dell’avventura, non mi avrebbe permesso di aiutare chi avessi incontrato lungo il cammino, di dare voce ai suoi occhi e prestare le orecchie ai suoi racconti, di condividere con lui un pezzo di vita.

Raccolsi il fermento della montagna, quel fondale su cui si proiettano mille avventure, sorretto da corde e moschettoni, piccozze e ramponi, così grande da entrare in uno zaino da 30 litri e lo misi sotto ad un camice, come uno scheletro robusto fatto di mille racconti e altrettante storie ancora da scrivere, articolato lungo i sentieri ed alto sulle pareti rocciose, ordinato sotto le pieghe bianche e celato dalle spoglie di un medico.

Quindi ho scoperto che le avventure da vivere non erano solo mie e che non sempre sono ambientate in luoghi remoti. Spesso i monti restano a guardare, mentre noi condividiamo un pezzo di sentiero ed un po’ del nostro tempo con chi abbiamo la fortuna (perché nel rapporto con i pazienti la fortuna più grande è di noi medici) di incontrare sul nostro cammino, in corsia ed in ambulatorio, sgravando le sue spalle dal peso del suo zaino mentre insieme si va.

Un tempo dinamico, in cui si intreccia la vita; turni senza orario per curare chi ci tende la mano, l’orologio tiranno ed il camice logoro e gualcito. Si arriva a fine giornata che già ne sta iniziando un’altra, animata da un pizzico di paura e da tanta curiosità. E alla fine, una volta tolto il camice, restano le montagne ed ancora tanta voglia di avventura.

Post scriptum: questo post sancisce la nascita dei Racconti del Tempo Verticale.

 in copertina: "Restano le montagne"1

Riferimenti

1.
Giammalva R. Restano le montagne. 500px. https://500px.com/photo/207688951/restano-le-montagne-by-roberto-giammalva. Accessed April 14, 2017.

Roberto Giammalva

M.D.
Italy
Neurochirurgo, ricercatore in neuroscienze e neuroncologia, alpinista e fotografo. Trascorre le sue giornate costantemente diviso tra l'amore per la ricerca, la medicina e la tensione interiore dell'infinito sconfinato delle vette, avventura dopo avventura.
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